IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA

    Letti  gli atti relativi al procedimento chiamato all'udienza del
15  febbraio 2006 e instaurato ai sensi degli artt. 69 e 14-ter legge
n. 354/1975  e succ. mod. in tema di reclamo in materia di lavoro nei
confronti  di  Mangione  Enzo,  nato  il  13  aprile  1974 a Vittoria
(Ragusa),  attualmente  ristretto  nella Casa circondariale di Ascoli
Piceno;

                     Osserva in fatto e diritto

    Con dichiarazione pervenuta in data 14 ottobre 2005 Mangione Enzo
presentava reclamo a questa a.g. ai sensi dell'art. 69, comma 6 lett.
a)  o.p.,  lamentando  che,  pur  avendo  prestato per anni attivita'
lavorativa  interna  negli  Istituti  di  pena  di Terni, L'Aquila ed
Ascoli  Piceno,  solo  nei  primi  due  (e  non in quello attualmente
ospitante)  gli  sono  stati  corrisposti  gli  assegni  familiari e,
soprattutto, evidenziava di essere stato retribuito in modo inferiore
al  dovuto,  in quanto le mercedi dei detenuti lavoranti (che secondo
l'art. 22  o.p. debbono essere determinate da un'apposita commissione
ministeriale,  in  relazione  alla  quantita'  e  qualita' del lavoro
prestato  e  ad altri parametri, in misura non inferiore ai due terzi
del  trattamento  economico  previsto  dai  contratti  collettivi  di
lavoro) sono state aggiornate per l'ultima volta nel giugno 1993 (con
effetto sul semestre 1° maggio 1993/31 ottobre 1993).
    In  ordine  ai  diritti  connessi  all'attivita'  lavorativa  del
detenuto,  la  giurisprudenza  di  merito  (v. sentenza Corte appello
Roma,  Sezione  lavoro,  pronunciata all'udienza di discussione del 3
giugno  2004 nella causa civile n. 5215/2002 R.G. in grado di appello
contro  la  sentenza  del  22  ottobre  2001  del  Tribunale di Roma)
talvolta   sostiene   che   oltre   al  magistrato  di  sorveglianza,
l'interessato  possa  sempre  adire  il  giudice  del lavoro, per una
tutela giurisdizionale piena e specifica.
    Per  contro  la Cassazione (Cass. pen., sez. u., 21 luglio 19999,
n. 490  e  Cass.  civ.,  sez.  lavoro,  7  giugno  1999 n. 5605; piu'
recentemente,  sentenza 23 aprile 2004 della sez. lavoro, ric. Rodano
e  sentenza  14  ottobre  2004  della  I sez. penale, ric. Arcara) ha
stabilito   che   la   competenza  del  giudice  del  lavoro  per  le
controversie  relative  al  lavoro  carcerario, prestato dal detenuto
all'interno  od  all'esterno  dello  stabilimento  detentivo a favore
dell'amministrazione    penitenziaria    oppure   all'esterno,   alle
dipendenze   di   altri   datori   di  lavoro,  pur  se  assimilabile
all'ordinario  lavoro  subordinato,  deve ritenersi derogata a favore
del  magistrato  di  sorveglianza,  per  effetto  dell'attribuzione a
quest'ultimo  dei  reclami  dei  detenuti  concernenti l'attribuzione
della   qualifica   lavorativa,  la  mercede,  la  remunerazione,  lo
svolgimento  delle  attivita' di tirocinio e lavoro, le assicurazioni
sociali.
    Pur  consapevole  quindi  che  l'interpretazione  ormai  pacifica
attribuita  all'art. 69,  comma  6  o.p. costituisce oggi il «diritto
vivente»  cui  far riferimento, questa a.g. dubita della legittimita'
costituzionale  della  norma  citata alla luce dell'orientamento, pur
autorevolissimo,  appena  descritto,  secondo  cui  la competenza del
giudice  del lavoro per le controversie relative al lavoro carcerario
deve  ritenersi  derogata a favore del magistrato di sorveglianza, in
quanto risulta evidente la notevole diversita' dei due rimedi, il che
esclude  che  il  rimedio  dinanzi  al magistrato di sorveglianza sia
idoneo  a  «sostituire»  il  rimedio  ex  art. 409 c.p.c., avendo una
struttura  ed  una funzione ben diversa ed essendo dotato di congegni
processuali  ben  piu' riduttivi rispetto agli strumenti previsti per
l'esplicazione del diritto di difesa dei lavoratori.
    Basti  osservare che la procedura ex art. 14-ter o.p. non prevede
la  partecipazione  del  contraddittore  necessario  del  rapporto di
lavoro   (cioe'  del  Ministero  della  giustizia),  non  prevede  la
partecipazione  diretta dell'interessato (che non puo' essere sentito
personalmente), non prevede la pubblicita' del procedimento. Va anche
considerato  che la procedura e' configurata come reclamo entro dieci
giorni  avverso un provvedimento dell'amministrazione, che non sempre
e'  riscontrabile  nelle  controversie  lavorative  e comunque limita
l'oggetto  del  reclamo,  e  il  magistrato di sorveglianza puo' solo
pronunciarsi  sulla  fondatezza  o  meno  del  reclamo,  ma  non puo'
emettere  ad  esempio provvedimenti di condanna; non vi e' dubbio che
il  procedimento  in  esame  sia deteriore con riguardo al diritto di
difesa  rispetto  al  rito  del  lavoro, oltre che per i profili gia'
accennati,  anche  ad  esempio,  per  l'assenza di un doppio grado di
giudizio  di  merito  o  per  l'assenza  della  norma  relativa  alla
immediata  esecutivita'  delle  pronunce  di condanna (che in realta'
neppure possono essere emesse).
    L'art. 69,     comma     6     dell'ordinamento    penitenziario,
nell'interpretazione  che  ad  esso  da'  la  consolidata  e pacifica
giurisprudenza   di   legittimita'  appare  in  contrasto  con  varie
disposizioni  costituzionali, inerenti i principi di eguaglianza e di
parita'  tra  i  soggetti processuali ed il diritto fondamentale alla
difesa: con l'art. 3 della Carta costituzionale, perche' e' stridente
e  discriminatorio il raffronto tra il procedimento che viene posto a
disposizione del detenuto-lavoratore e la diversa e ben piu' efficace
tutela  processuale che viene riconosciuta al lavoratore non detenuto
nell'ambito  del  rito  del  lavoro;  con  l'art. 24,  in  quanto  il
contraddittorio tra le parti puo' avvenire solo in forma cartolare ed
in  quanto  al  detenuto  e'  sottratto  il  diritto  di  partecipare
personalmente  all'udienza  e l'amministrazione penitenziaria si vede
addirittura  privata  di  qualsiasi  tutela  processuale  rispetto al
procedimento  in  corso  e  soprattutto rispetto all'ordinanza che lo
concludera';  con  l'art. 111  perche',  come  detto,  se il detenuto
lavoratore  puo'  comunque  ricorrere, sia pure in Cassazione, contro
l'ordinanza     emessa     dal     magistrato     di    sorveglianza,
all'amministrazione-datore   di  lavoro  e'  certamente  negato  tale
diritto.
    Nel  caso  in  esame,  i principi enunciati sarebbero chiaramente
violati,  se  si  ritenesse la competenza esclusiva del magistrato di
sorveglianza  con riguardo ai rapporti di lavoro dei detenuti, mentre
corretto   sarebbe  ricondurre  anche  la  controversia  oggetto  del
presente  procedimento  nell'ambito  della  generale  competenza  del
giudice del lavoro.
    In  subordine,  si  potrebbe  operare il riconoscimento di tutele
alternative,  nel  senso  che  il detenuto lavoratore, essendo in una
condizione  certamente  deteriore  rispetto al lavoratore «libero», a
differenza  di  questo  abbia  facolta'  di  scelta  tra  una  tutela
«interna»   alla   organizzazione  carceraria  e  l'ordinaria  tutela
prevista  per  tutti  i  lavoratori, eventualmente nel rispetto della
regola secondo cui electa una via non datur recursus ad alteram;
    Considerato  che  tale  ultima  interpretazione alternativa della
norma in commento, corretta costituzionalmente, idonea a rimuovere la
irragionevole  disparita' di trattamento denunciata implicherebbe una
contrapposizione con quanto indicato dall'orientamento ormai costante
della  suprema  Corte  e determinerebbe un'univoca sorte ai conflitti
negativi di competenza che dovessero insorgere tra giudice del lavoro
e magistrato di sorveglianza;
    Ritenuto  che,  nel  caso  di  cui trattasi, i vizi denunciati si
appalesano  rilevanti  in ordine all'oggetto del giudizio, poiche' in
caso  di  assunzione  di  una  determinazione  conclusiva da parte di
questa  a.g. si andrebbe inevitabilmente a riservare al lavoratore ma
anche   all'amministrazione   penitenziaria   una   forma  di  tutela
sostanzialmente  ridotta,  specie  con riferimento all'impugnabilita'
(limitata   ai  vizi  di  legittimita'  per  il  lavoratore-detenuto;
preclusa al datore di lavoratore-amministrazione);